
Tra i salami che si sono formati lungo la Via Pedemontana, molto noto è il Salame di Felino, che prende nome dall’omonimo sito, molto probabilmente riallacciandosi a quello etrusco di Fel(s)inum. Questo salame ha stretti rapporti con il prosciutto che si produce nelle stesse terre. Infatti, era prodotto con i ritagli delle cosce destinate alla produzione del Prosciutto di Parma. Per questo era stato denominato anche nel “salame di prosciutto”. Oggi è prodotto anche con altri tagli pregiati del maiale, e con tecniche che si ispirano sempre all’antica tradizione. Si è inoltre alleggerito di grasso, pur mantenendo il suo inconfondibile sapore e aroma.
Il Salame di Felino è mangiato tale e quale, dopo un’opportuna stagionatura, in modo che la pasta sia ben matura, ma non secca o asciutta. La fetta deve essere lunga, ottenuta tagliando il salame di sbico, a becco di clarino, non troppo sottile ma dello spessore di circa un grano di pepe.
Oltre che un pane bianco di tipo tradizionale, il Salame di Felino può essere gustato con la Torta Fritta, prestando attenzione che non sia troppo salata, accompagnandolo con un vino dei Colli Parmensi, bianco o rosso, a piacimento.
Un tempo, invece, il salame fresco si mangiava anche cotto, lessato o soffritto nel vino bianco, oppure era usato come ripieno o condimento. Per questo uso è adatto un salame giovane o anche l’impasto di preparazione del salame.
Tratto da “La terra del buon cibo – storia e futuro della cucina parmigiana” di Giovanni Ballarini (2007)